Il Liceo Scientifico di Bovino a rischio chiusura: appello dell’Amministrazione per salvare un presidio educativo dei Monti Dauni
Una piccola comunità rischia di perdere una delle sue istituzioni più preziose. La sede del Liceo Scientifico a Bovino, recentemente trasformata in indirizzo “Scienze Applicate”, non potrà attivare la classe prima per l’anno scolastico 2025/26. Una notizia che ha scosso la cittadinanza e le istituzioni locali, alimentando un dibattito più ampio sul futuro dei servizi scolastici nei piccoli centri dell’entroterra.
A diffondere la notizia è stata la sindaca Stefania Russo, che in un post sui social ha espresso “grande dispiacere” per la mancata autorizzazione ministeriale, nonostante un numero di iscritti – otto – che, in un contesto come quello dei Monti Dauni, rappresenta un dato significativo. “Un segnale di apprezzamento da parte delle famiglie – ha scritto – per il cambio di indirizzo in Scienze applicate.”
La scelta di puntare su un’offerta didattica più moderna e professionalizzante, come quella delle Scienze Applicate, era stata pensata proprio per intercettare nuove esigenze formative e ridare slancio all’istituto. I primi segnali sembravano positivi, e il numero di iscritti alla futura prima classe avrebbe dovuto consolidare questa tendenza. Tuttavia, non è bastato.
La decisione di non attivare la classe sembra essere stata dettata da criteri numerici rigidi, senza considerare il contesto territoriale e la portata sociale di una tale scelta. In territori come quello di Bovino – che soffrono da anni il progressivo calo demografico e lo spopolamento giovanile – anche otto iscrizioni sono un patrimonio da valorizzare, non da ignorare.
Una battaglia istituzionale
La sindaca non ha perso tempo. Ha chiesto un incontro urgente con il dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale, Alfonso Vito, e con l’assessore regionale al Diritto allo studio, Sebastiano Leo. È stata inoltre coinvolta l’Area Interna Monti Dauni, nella persona del presidente, per rafforzare la pressione politica e istituzionale.
“Non voglio fare polemiche – ha scritto Russo – ma credo che si debba fare uno sforzo per trovare una soluzione.” La preoccupazione principale è che gli investimenti fatti negli scorsi anni, proprio nell’ambito della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), possano risultare vani. I progetti attivati, che avrebbero dovuto rafforzare il diritto allo studio e contrastare l’emigrazione scolastica, rischiano di svuotarsi di senso se poi si lasciano morire lentamente le strutture che quei progetti dovevano sostenere.
Non è solo una questione didattica. Una scuola superiore in un piccolo centro è un punto di riferimento per le famiglie, per i ragazzi e per l’intera comunità. È un luogo in cui si costruiscono relazioni, si coltiva il senso civico, si radica l’identità territoriale. Perdere una scuola significa aumentare l’isolamento delle aree interne, aggravare le disuguaglianze territoriali e ridurre le possibilità di futuro per le nuove generazioni.
A questo si aggiunge il rischio di uno spostamento forzato degli studenti verso città più grandi – con costi economici, logistici e psicologici per le famiglie – oppure, nei casi peggiori, l’abbandono scolastico. In un territorio già fragile, questi effetti sarebbero devastanti.
Un appello a tutti i livelli
L’amministrazione comunale chiede una riflessione profonda. Serve una politica scolastica che tenga conto delle specificità dei piccoli comuni, che riconosca il valore strategico della scuola come motore di coesione e innovazione. Serve una deroga ai numeri minimi, un patto territoriale, una visione a lungo termine.
Il caso di Bovino è solo uno dei tanti, ma potrebbe diventare simbolico. La speranza è che le istituzioni – a partire dalla Regione Puglia e dal Ministero – rispondano con sensibilità e concretezza. Perché dietro quegli “otto studenti” c’è una comunità intera che chiede solo di poter continuare a crescere, imparare e restare.
A diffondere la notizia è stata la sindaca Stefania Russo, che in un post sui social ha espresso “grande dispiacere” per la mancata autorizzazione ministeriale, nonostante un numero di iscritti – otto – che, in un contesto come quello dei Monti Dauni, rappresenta un dato significativo. “Un segnale di apprezzamento da parte delle famiglie – ha scritto – per il cambio di indirizzo in Scienze applicate.”
Un indirizzo rinnovato, ma ignorato
La scelta di puntare su un’offerta didattica più moderna e professionalizzante, come quella delle Scienze Applicate, era stata pensata proprio per intercettare nuove esigenze formative e ridare slancio all’istituto. I primi segnali sembravano positivi, e il numero di iscritti alla futura prima classe avrebbe dovuto consolidare questa tendenza. Tuttavia, non è bastato.
La decisione di non attivare la classe sembra essere stata dettata da criteri numerici rigidi, senza considerare il contesto territoriale e la portata sociale di una tale scelta. In territori come quello di Bovino – che soffrono da anni il progressivo calo demografico e lo spopolamento giovanile – anche otto iscrizioni sono un patrimonio da valorizzare, non da ignorare.
Una battaglia istituzionale
La sindaca non ha perso tempo. Ha chiesto un incontro urgente con il dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale, Alfonso Vito, e con l’assessore regionale al Diritto allo studio, Sebastiano Leo. È stata inoltre coinvolta l’Area Interna Monti Dauni, nella persona del presidente, per rafforzare la pressione politica e istituzionale.
“Non voglio fare polemiche – ha scritto Russo – ma credo che si debba fare uno sforzo per trovare una soluzione.” La preoccupazione principale è che gli investimenti fatti negli scorsi anni, proprio nell’ambito della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), possano risultare vani. I progetti attivati, che avrebbero dovuto rafforzare il diritto allo studio e contrastare l’emigrazione scolastica, rischiano di svuotarsi di senso se poi si lasciano morire lentamente le strutture che quei progetti dovevano sostenere.
Tra i nodi più critici, anche la decisione di staccare la sezione del Liceo da Accadia. Una mossa che, secondo la sindaca, potrebbe aver indebolito la rete scolastica complessiva, a vantaggio di pochi e a scapito di molti.
La scuola come presidio sociale
Non è solo una questione didattica. Una scuola superiore in un piccolo centro è un punto di riferimento per le famiglie, per i ragazzi e per l’intera comunità. È un luogo in cui si costruiscono relazioni, si coltiva il senso civico, si radica l’identità territoriale. Perdere una scuola significa aumentare l’isolamento delle aree interne, aggravare le disuguaglianze territoriali e ridurre le possibilità di futuro per le nuove generazioni.
A questo si aggiunge il rischio di uno spostamento forzato degli studenti verso città più grandi – con costi economici, logistici e psicologici per le famiglie – oppure, nei casi peggiori, l’abbandono scolastico. In un territorio già fragile, questi effetti sarebbero devastanti.
Un appello a tutti i livelli
L’amministrazione comunale chiede una riflessione profonda. Serve una politica scolastica che tenga conto delle specificità dei piccoli comuni, che riconosca il valore strategico della scuola come motore di coesione e innovazione. Serve una deroga ai numeri minimi, un patto territoriale, una visione a lungo termine.
Il caso di Bovino è solo uno dei tanti, ma potrebbe diventare simbolico. La speranza è che le istituzioni – a partire dalla Regione Puglia e dal Ministero – rispondano con sensibilità e concretezza. Perché dietro quegli “otto studenti” c’è una comunità intera che chiede solo di poter continuare a crescere, imparare e restare.
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